giovedì 21 novembre 2013

Modi di dire#18/Tradizione, traduzione, tradimento


Non eadem est aetas, non mens/L’età non è più quella, e l’animo neppure

Umberto Curi, filosofo attento al corretto uso delle parole, a proposito di tradizione sottolinea, in una sua nota, che “tradizione”, dal lat. traditio -onis, der. di tràdere (trans, oltre + dere o dare) significa propriamente consegna, trasmissione: «non si tratta perciò di un termine che si riferisca a una realtà staticamente intesa, ma piuttosto a una dinamica di trasferimento nella quale non è necessariamente specificato quale sia il contenuto che “passa”. A rigore, dunque, il termine non potrebbe essere impiegato in forma assoluta, ma sempre e soltanto in rapporto a qualcosa che va precisato con chiarezza. Si dovrebbe perciò parlare della tradizione culturale, religiosa, giuridica, politica, sportiva, eccetera, indicando dunque quale sia il “tràdito”, e cioè che cosa venga specificamente trasmesso». Tuttavia, nel corso del tempo la tradizione è stata identificata «con un patrimonio di conoscenze, costumi, regole e usanze invarianti, in quanto tale contrapposta al carattere cangiante, mutevole ed effimero del “nuovo”» e nel linguaggio politico le forze che si richiamano alla tradizione agiscono come forze conservatrici, contrarie all’innovazione,  per cui «essere dalla parte della tradizione equivale a condividere un’impostazione che ritrova nel passato un insieme di valori e idealità positive che occorrerebbe riprendere e rilanciare».
Va osservato che il pensiero che si definisce “tradizionale”, e usa quindi il termine in una accezione che Curi critica e ritiene non corretto o impreciso, ha una sua storia e densità molto complessa, riferendosi (v. René Guenon) a quella conoscenza primordiale alla quale è necessario riallacciarsi per avere nozione dell’Essere. In questo solco si pone la riflessione filosofica di Elémire Zolla che, nel suo imprescindibile libro Che cos’è la tradizione, spiega come «Tradizione è ciò che si trasmette, specie di progenie in progenie, quanto a dire la radice di quasi ogni stato o atto umano, vivi essendo piuttosto i morti che non coloro nei quali scorre il loro sangue, facilmente illusi di inventare ciò che è pura reviviscenza, di creare discorsi che commuovono con l’apparenza della novità nella misura in cui è obliata l’arcaica voce che ebbe già a pronunciarli in antico. […] Tradizione è la trasmissione dell’idea dell’essere nella sua perfezione massima, dunque di una gerarchia tra gli esseri relativi e storici fondata sul loro grado di distanza da quel punto o unità. Essa è talvolta trasmessa non da uomo a uomo, bensì dall’alto, è una teofania. Essa si concreta in una serie di mezzi: sacramenti, simboli, riti, definizioni discorsive il cui fine è di sviluppare nell’uomo quella parte o facoltà o potenza o vocazione che si voglia dire, la quale pone in contatto con il massimo di essere che gli sia consentito, ponendo in cima alla sua costituzione corporea o psichica lo spirito o intuizione intellettuale».

La distanza tra le diverse accezioni è grande e, lasciando aperto lo spazio a ulteriori riflessioni, veniamo a situazioni più prossime al nostro quotidiano eloquio. Qui, precisa il dizionario della Treccani, «tradizione è la trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze; anche le memorie così conservate […]: trasmissione nel tempo, di generazione in generazione, di consuetudini, usi e costumi, modelli e norme; anche le consuetudini, gli usi e i costumi, ecc. così trasmessi e costituitisi». E ricordiamo quei termini appartenenti alla stessa famiglia linguistica che sono “tradimento”, il venire meno a un dovere o a un impegno morale o giuridico di fedeltà e di lealtà (consistente in un “passaggio” materiale o immateriale fatto con inganno e/o venendo meno agli impegni assunti: come fecero Giuda che tradidit eum; o quegli ecclesiastici che, sotto le persecuzioni di Diocleziano, consegnarono alle autorità testi sacri) e “traduzione”, l’operazione di trasferimento da una lingua in un’altra di un testo scritto o orale, legati, questi due termini, anche strettamente tra loro, come si evidenzia tutte le volte che si afferma che una traduzione ha tradito l’originale o che è “brutta e fedele” o “bella e infedele”.  

4 commenti:

Ennio ha detto...

Salve,

considerando il termine Tradizione come "trasmissione dell'idea dell'essere nella sua perfezione massima". E' più corretto dire ad esempio: "la mia visione è influenzata da un punto divista eccessivamente 'tradizionalista'",oppure in questo caso è più corretto usare il termine 'tradizionale'.

Complimenti per il suo Blog

Anonimo ha detto...

Ennio, temo che "per un punto" tu abbia perso la cappa.
Prova a riformulare la domanda con il punto interrogativo finale. Qualcosa mi dice che in questo modo otterrai la risposta che desideri.

http://ilblogdiriccardoventurini.blogspot.it/2010/04/modi-di-dire3per-un-punto-martin-perse.html

Anonimo ha detto...

Amico mio, è per ben due (2) punti che il Nostro ha perso la cappa. L'ultimo punto, quello interrogativo, sicuramente manca. Ma cosa dire del primo punto, quello dopo "perfezione massima", che impertinente apppare lì dove si sarebbe potuta mettere, nel caso, una virgola?
E voi, severi e puntigliosi censori, non avreste dovuto forse essere più attenti, prima di sentenziare? Una correzione incompleta non suona forse peggiore di un errore?

Medice cura...

Anonimo ha detto...

Salve,

considerando il termine Tradizione come "trasmissione dell'idea dell'essere nella sua perfezione massima", è più corretto dire ad esempio: "la mia visione è influenzata da un punto divista eccessivamente 'tradizionalista'",oppure in questo caso è più corretto usare il termine 'tradizionale'?